Questa volta è Raffaele (il mio figlio più piccolo) a svegliarmi. Sono le prime ore dell’alba e chiama ma siamo stanchi morti, non abbiam voglia né forza di alzarci, vorremo riposarci. Alla fine gli diciamo di venire direttamente nel nostro letto. Raffaele è sotto le nostre coperte, ma richiede attenzione, si agita e noi con lui. Mi riaddormento. Mi sembra di svegliarmo di nuovo al suono di uno sparo. Sto sognando? O forse no? Mi sveglia più tardi una chimata di Monojeet, un altro collega che vive non lontano da noi. Mi dice di aver sentito dei spari in provenienza dalla nostra zona ed è preoccupato. Ormai non ci faccio più caso, sarà semplicemente uno dei tanti. Scendo al piano di sotto, dove il resto della famiglia sta facendo colazione. Chiedo a Francesca se ci sono delle novità, se i nostri amici su facebook hanno riportato violenze nella notte. Tutto sembra esser calmo. Dopo qualche ora riceviamo anche un messaggio da parte del servizio di sicurezza del mio lavoro, che comunica che oggi è una giornata relativamente calma, è che lo staff è autorizzato ad uscire di casa anche se non si incoraggiano grandi spostamenti. Eppure gli spari continuano, con il solito ritmo irregolare. La strada di fronte casa è deserta. Vediamo passare il nostro vicino membro dei comitato di protezione con un bastone. E’ un atmosfera alquanto tesa, ma i vicini sembrano mantenere una grande tranquillità. Ci affacciamo per scoprire il piccolo sistema di difesa di quartiere. Ambedue i lati della stradina bloccati da una difesa rudimentale fatta di vasi, travi di legno e altri mezzi improvvisati.
Francesca descriveva su facebook come a difendersi sia una vera e propria banda bassotti, suscitando l’ilarità degli internauti. Eppure questo piccolo gruppo di signori, tra cui spiccano per simpati e.... per peso l’ex fotografo ufficiale del minitero del turismo, un tipo grassoccio con i baffi e il proprietario del negozio di DVD illegali, anche lui con qualche chilo di troppo e un pò stempiato. Ci mettiamo a fare qualche foto, ma veniamo subito richiamati all’ordine da uno dei nostri angeli custodi, che ci suggeriscono di rientrare in casa e non prender rischi.
Poco dopo, riprendono gli spari a varie ondate. Li sentiamo più vicini. Spiamo dalla finestra con la paura però di avvicinarsi troppo e rischiare dei possibili spari. Una raffica di spari e una battaglia di strada avviene proprio ad un isolato di distanza, di fronte ad un piccolo incrocio dove si trovava il legumaio i quartiere. Dopo poco iniziano spari dietro il nostro edificio all’altezza della scuola deserta. Siamo sulla linea di fuoco.
Nel frattempo i figli esprimono il loro nervosismo. Vogliono attenzioni. Sono stanchi di stare dentro. Vorrebbero i loro amici, vorrebbero andare al parco. “Come fai a spiegare tutto ciò che accade a bambini di 4 e 2 anni? i soldatini sono entrati nel vivo del gioco?”, si chiede Francesca in un messaggio su facebook, mantenendo il suo senso dell’umorismo e cercando di sdrammatizzare la situazione. Ci mettiamo allora anche noi a sparare dentro casa. Per scherzo ovviamente. Spiego ai bimbi che ci sono dei cattivi che stanno per esser catturati dalla polizia. Spiego che sono stessi che avevano visto loro qualche giorno prima svaligiare Monoprix, ma di non preoccuparli perché la polizia li sta catturando e mettendo in prigione. Facciamo finta di spararci, prima sono io il poliziotto poi faccio il cattivo e sono loro a sparare. Senza pensarci questo gioco in realtà non dista tanto da quanto i Tunisini hanno visto nelle ultime settimane. Poliziotti che sparano alla folla e che ci convertono da difensori nell’ordine in veri aggressori, esercito che diventa l’unico vero corpo a combattere per la pace, cittadini fin a poco tempo fa pacifici convertiti in ladri casuali e autori di vendette personali e di nuovo poliziotti che si aggiungono ai ladri approfittando per rubare anche loro, mentre le “bande bassotti” di quartieri diventano i caposaldi della sicurezza. Il gioco dei ruoli è una delle verie tragedie di questi momenti bui, ma per fortuna per i bimbi è un gioco divertente che aiuta ad ammazzare il tempo.
Mentre eravamo alle prese con le varie battaglie che avevano luogo Carthage, quella con i bambini e quella vera che accadeva ad un isolato, ci chiama il mio capo che, anche lui preoccupato della situazione, suggerisce una possibile via di uscita. “Anche se l’ufficio non prende una posizione ufficiale, pensa alla tua famiglia e alla tua sicurezza, io non te lo impedirò, e se hai bisogno lavora da Roma nei prossimi giorni”. Nel fratempo apprendiamo del rimpatrio dell’ENI dalla Tunisia. Altri amici ci comunicano la loro intenzione di partire. C’è aria di evacuazione. Con Francesca cerchiamo di prendere una decisione, ma è impossibile. I bambini richiedono attenzione, le chiamate di amici non si fermano e gli spari fuori ad intervallare i nostri momenti di tensione.
In questo momento di tensione arriva uno dei gesti di grande solidarietà che non scorderemo mai. Ci suonano al cancello. Il cancello è ancora bloccato dalla nostra barriera aggiuntiva della notte. Mi affaccio dalla finestra del piano di sopra per capire chi sia. E’ il vicino che, proeccupato per noi, ci chiede se abbiamo bisogno di cibo, se abbiamo abbastanza scorte. E’ il simbolo che conserverò sempre della generosità di un popolo che non solo offre solidarietà ai propri compatrioti, ma anche agli stranieri. Per fortuna siamo ben serviti, ma appreziamo il gesto e ringraziamo.
Data la circostanza, mettiamo i bambini davanti alla televisione e cerchiamo di prendere una decisione. Tra una telefonata e un altra e in maniera alquanto rapida decidiamo di fare le valige e prendere il primo volo. Proviamo sul sito della Tunisair, e’ non il sito non ci lascia prenotare per voli nelle 24 ore successive. Passiamo ad Alitalia, sito non disponibile!. Proviamo a contattare le compagnie direttamente, ma il call center della Tunisair ha un messaggio automatico che ci ricorda che gli uffici chiudono alle 15:00 di domenica!! Cavolo!! Erano le 15:15! Mi mordo le mani che per aver risposto a qualche telefonata e aver tergiversato nella decisione, avremmo potuto perdere l’occasione di partire. Decidiamo di chiamare in Italia e cercare di prenotare da li, ma chi chiamiamo? I nostri genitori meglio non coinvolgerli per non dare stress aggiuntivi, in caso di possibile fallimento nell’acquisto di biglietto. Vedo Claudia, mia cognata, collegata su Skype, quindi la immagino a casa con collegamento. Le chiediamo di vedere se il sito Alitalia funziona. Ed è cosi! In fretta e in furia scegliamo la data di partenza con il primo volo, domani a mezzogiorno. Perfetto! “E la data di ritorno?” mi chiede Claudia. Proviamo ad indovinare, ma nessuno ha la palla di cristallo, specialmente in questi momenti. Scommettiamo su 2 settimane, con biglietto rigorosamente cambiabile. Evviva si parte!!
Appena comprato il biglietto iniziano però i vari dubbi. “E se forse una partenza definitiva?” e “se evacuassero tutti gli stranieri e non si potesse più tornare?”. “Non sarebbe stato meglio partire in nave?”. “Che sarà della casa alla nostra partenza?” “e se viene assaltata da vandali e sciacalli vari?”“Che facciamo?”. Inizio a chiamare altri amici per sapere come altri si stanno organizzando. C’e’ chi mi consiglia di tenere qualcuno in casa come la tata, chi di mandare la famiglia, ma rimanere a Tunisi per organizzare il trasporto degli effetti personali. Marco, un collega rimasto a Tunisi e che era riuscito a far partire moglie e figlio la settimana scorsa mi dice: “Non ti porterai certo i vestiti dei bambini? Usa i tuoi chili per le cose che hanno maggiro valore affettivo o financiario”. Entriamo nel pallone più totale. Il tempo passa. Le chiamate si intensificano. Si diffonde la notizia che e a Carthage è in atto già da stamattina un attacco delle forze fedeli al Presidente al palazzo presidenziale, a pochi isolati da casa nostra. Amici da tutta Tunisi ci scrivono su facebook, SMS or chiamate per sapere come stiamo. Nel frattempo è finito il cartone animato dei bambini, e di tempo per organizzarci è sempre meno.
Andiamo a cena, ma sono nervoso. I bambini fanno capricci e non abbiamo la pazienza necessaria. Finiamo cena in fretta e li rimettiamo, con grande amarezza davanti alla televisione. Decidiamo di partire tutti. Decidiamo un compromesso, una valigia di cose di valore e una di vestiti di cui avremo bisogno immediato in Italia. Nel frattempo, prepariamo altre valige dove mettiamo le cose di valore, facilmente identificabili al nostro proprietario di casa, in caso di necessità. Non riusciamo ad andare a notte prima dell’1 e mezza del mattina. Siamo a pezzi.
Poco dopo, riprendono gli spari a varie ondate. Li sentiamo più vicini. Spiamo dalla finestra con la paura però di avvicinarsi troppo e rischiare dei possibili spari. Una raffica di spari e una battaglia di strada avviene proprio ad un isolato di distanza, di fronte ad un piccolo incrocio dove si trovava il legumaio i quartiere. Dopo poco iniziano spari dietro il nostro edificio all’altezza della scuola deserta. Siamo sulla linea di fuoco.
Nel frattempo i figli esprimono il loro nervosismo. Vogliono attenzioni. Sono stanchi di stare dentro. Vorrebbero i loro amici, vorrebbero andare al parco. “Come fai a spiegare tutto ciò che accade a bambini di 4 e 2 anni? i soldatini sono entrati nel vivo del gioco?”, si chiede Francesca in un messaggio su facebook, mantenendo il suo senso dell’umorismo e cercando di sdrammatizzare la situazione. Ci mettiamo allora anche noi a sparare dentro casa. Per scherzo ovviamente. Spiego ai bimbi che ci sono dei cattivi che stanno per esser catturati dalla polizia. Spiego che sono stessi che avevano visto loro qualche giorno prima svaligiare Monoprix, ma di non preoccuparli perché la polizia li sta catturando e mettendo in prigione. Facciamo finta di spararci, prima sono io il poliziotto poi faccio il cattivo e sono loro a sparare. Senza pensarci questo gioco in realtà non dista tanto da quanto i Tunisini hanno visto nelle ultime settimane. Poliziotti che sparano alla folla e che ci convertono da difensori nell’ordine in veri aggressori, esercito che diventa l’unico vero corpo a combattere per la pace, cittadini fin a poco tempo fa pacifici convertiti in ladri casuali e autori di vendette personali e di nuovo poliziotti che si aggiungono ai ladri approfittando per rubare anche loro, mentre le “bande bassotti” di quartieri diventano i caposaldi della sicurezza. Il gioco dei ruoli è una delle verie tragedie di questi momenti bui, ma per fortuna per i bimbi è un gioco divertente che aiuta ad ammazzare il tempo.
Mentre eravamo alle prese con le varie battaglie che avevano luogo Carthage, quella con i bambini e quella vera che accadeva ad un isolato, ci chiama il mio capo che, anche lui preoccupato della situazione, suggerisce una possibile via di uscita. “Anche se l’ufficio non prende una posizione ufficiale, pensa alla tua famiglia e alla tua sicurezza, io non te lo impedirò, e se hai bisogno lavora da Roma nei prossimi giorni”. Nel fratempo apprendiamo del rimpatrio dell’ENI dalla Tunisia. Altri amici ci comunicano la loro intenzione di partire. C’è aria di evacuazione. Con Francesca cerchiamo di prendere una decisione, ma è impossibile. I bambini richiedono attenzione, le chiamate di amici non si fermano e gli spari fuori ad intervallare i nostri momenti di tensione.
In questo momento di tensione arriva uno dei gesti di grande solidarietà che non scorderemo mai. Ci suonano al cancello. Il cancello è ancora bloccato dalla nostra barriera aggiuntiva della notte. Mi affaccio dalla finestra del piano di sopra per capire chi sia. E’ il vicino che, proeccupato per noi, ci chiede se abbiamo bisogno di cibo, se abbiamo abbastanza scorte. E’ il simbolo che conserverò sempre della generosità di un popolo che non solo offre solidarietà ai propri compatrioti, ma anche agli stranieri. Per fortuna siamo ben serviti, ma appreziamo il gesto e ringraziamo.
Data la circostanza, mettiamo i bambini davanti alla televisione e cerchiamo di prendere una decisione. Tra una telefonata e un altra e in maniera alquanto rapida decidiamo di fare le valige e prendere il primo volo. Proviamo sul sito della Tunisair, e’ non il sito non ci lascia prenotare per voli nelle 24 ore successive. Passiamo ad Alitalia, sito non disponibile!. Proviamo a contattare le compagnie direttamente, ma il call center della Tunisair ha un messaggio automatico che ci ricorda che gli uffici chiudono alle 15:00 di domenica!! Cavolo!! Erano le 15:15! Mi mordo le mani che per aver risposto a qualche telefonata e aver tergiversato nella decisione, avremmo potuto perdere l’occasione di partire. Decidiamo di chiamare in Italia e cercare di prenotare da li, ma chi chiamiamo? I nostri genitori meglio non coinvolgerli per non dare stress aggiuntivi, in caso di possibile fallimento nell’acquisto di biglietto. Vedo Claudia, mia cognata, collegata su Skype, quindi la immagino a casa con collegamento. Le chiediamo di vedere se il sito Alitalia funziona. Ed è cosi! In fretta e in furia scegliamo la data di partenza con il primo volo, domani a mezzogiorno. Perfetto! “E la data di ritorno?” mi chiede Claudia. Proviamo ad indovinare, ma nessuno ha la palla di cristallo, specialmente in questi momenti. Scommettiamo su 2 settimane, con biglietto rigorosamente cambiabile. Evviva si parte!!
Appena comprato il biglietto iniziano però i vari dubbi. “E se forse una partenza definitiva?” e “se evacuassero tutti gli stranieri e non si potesse più tornare?”. “Non sarebbe stato meglio partire in nave?”. “Che sarà della casa alla nostra partenza?” “e se viene assaltata da vandali e sciacalli vari?”“Che facciamo?”. Inizio a chiamare altri amici per sapere come altri si stanno organizzando. C’e’ chi mi consiglia di tenere qualcuno in casa come la tata, chi di mandare la famiglia, ma rimanere a Tunisi per organizzare il trasporto degli effetti personali. Marco, un collega rimasto a Tunisi e che era riuscito a far partire moglie e figlio la settimana scorsa mi dice: “Non ti porterai certo i vestiti dei bambini? Usa i tuoi chili per le cose che hanno maggiro valore affettivo o financiario”. Entriamo nel pallone più totale. Il tempo passa. Le chiamate si intensificano. Si diffonde la notizia che e a Carthage è in atto già da stamattina un attacco delle forze fedeli al Presidente al palazzo presidenziale, a pochi isolati da casa nostra. Amici da tutta Tunisi ci scrivono su facebook, SMS or chiamate per sapere come stiamo. Nel frattempo è finito il cartone animato dei bambini, e di tempo per organizzarci è sempre meno.
Andiamo a cena, ma sono nervoso. I bambini fanno capricci e non abbiamo la pazienza necessaria. Finiamo cena in fretta e li rimettiamo, con grande amarezza davanti alla televisione. Decidiamo di partire tutti. Decidiamo un compromesso, una valigia di cose di valore e una di vestiti di cui avremo bisogno immediato in Italia. Nel frattempo, prepariamo altre valige dove mettiamo le cose di valore, facilmente identificabili al nostro proprietario di casa, in caso di necessità. Non riusciamo ad andare a notte prima dell’1 e mezza del mattina. Siamo a pezzi.


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